Ridefinire il nostro sistema alimentare: mangiare in modo sano, intelligente, naturale e sostenibile.
La soluzione per evitare tutto questo è una sola: ridefinire il nostro sistema alimentare.
Nella prima parte del libro, l’autrice lo spiega bene: è necessaria una rivoluzione alimentare per l’Antropocene (l’era geologica in cui viviamo, in cui gli esseri umani influenzano gli eventi sul pianeta), ciò che Eliana Liotta chiama La Rivoluzione della Forchetta.
In altre parole, la soluzione c’è: ridurre le emissioni di gas serra del sistema alimentare è possibile, ma solo se siamo disposti ad adottare pratiche agricole sostenibili, praticare nuovi modelli di consumo e ridurre gli sprechi alimentari.
C’è un concetto che Eliana Liotta richiama in tutto il libro: one health, one planet. Non siamo soli; siamo in relazione con tutti gli altri e con il pianeta. Lo abbiamo sperimentato durante la pandemia: siamo tutti interconnessi, legati da fili invisibili, e il denominatore comune dei fenomeni che sperimentiamo e studiamo al momento è proprio ciò che mettiamo nei nostri piatti.
E allora, come dev’essere il cibo del futuro? L’autrice si interroga su questa domanda, delineando e approfondendo ogni caratteristica per definire i requisiti fondamentali del nostro cibo di domani.
Uno dei punti più importanti è che il cibo del futuro deve necessariamente essere un cibo sano. La popolazione mondiale sta aumentando costantemente, mangia di più e vive più a lungo, ma per vivere anche "bene", ha bisogno di risorse sane che nutrano il corpo e ci evitino di "invecchiare male". Dopotutto, già Ippocrate, secoli fa, capì che “il cibo è la nostra medicina”.
C’è un collegamento stretto tra ciò che mangiamo e la nostra salute. E non è un caso il fatto che quello che non danneggia il pianeta è lo stesso che fa bene a noi. La salute di noi esseri umani dipende non solo dalla salute delle altre persone, degli animali e delle piante, ma anche dalla salute generale della Terra.
Eliana Liotta rafforza ciò che gli esperti di nutrizione stanno già affermando, ovvero che una dieta prevalentemente a base vegetale, minimamente processata e quindi naturale, più “dietetica”, più etica e con un impatto ambientale ridotto è più salutare per il nostro corpo e allo stesso tempo più sostenibile dal punto di vista ambientale. Ci sono molti alimenti a base vegetale non processati che contribuiscono anche all’apporto proteico. Ad esempio, 50 g di spinaci forniscono circa 7 grammi di proteine vegetali mentre 30 grammi di mandorle, equivalenti a circa 23 mandorle, contengono 6 grammi di proteine vegetali, 4 grammi di fibre e grassi sani.